venerdì 27 aprile 2018

Fughe, numeri uno e madri

C'è la Golden Week in Giappone e con essa un po' di tregua. Spero Tokyo smetta di muoversi, si fermi e si guardi indietro se è tutto a posto. A me sembra di aver perso un po' di pezzi per strada. Il soggiorno in Cina, comunque, è stata la scelta giusta. Questa sera è stata la mia ultima lezione del venerdì e non ho mai visto la professoressa Mao così pimpante. È stato un confronto utile quello dei trascorsi 50 minuti e non so, parlando cinese mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, a quando ero aperto a 360 gradi verso l'esterno. I pesi sul cuore si siano alleggeriti e mi piace di nuovo conversare con la gente. E alla gente con me. Nei prossimi giorni mi accingerò a leggere il mio primo libro in cinese. Un piccolo volumetto di una quarantina di pagine pensato per studenti che utilizzano un vocabolario di circa 600-1000 parole. La storia si intitola: "Mother and Son", "妈妈和儿子"(mama he erzi). Neanche a volerlo fare apposta si parla di una fuga da casa. La mia prima avventura risale a quando sono scappato a 6 anni, con mia cugina Ether, Janette la ragazza del mistero e Giuseppe la tigre. È stata coinvolta anche Maria perchè era sempre con noi ma quella volta non c'entrava nulla, poverina. Con le tenebre ci siamo pentiti e spaventati abbiamo fatto l'autostop, all'epoca espediente poco raccomandabile con tutti i mostri di Firenze e Donato Bilancia liberi sul territorio ligure- toscano. Ce l'abbiamo fatta comunque e siamo tornati da dove eravamo partiti, qualcosa doveva non aver funzionato. Il mio primo racconto, quello che ha inaugurato la mia attività di scrittore, si chiama "In Fuga", neanche a dirlo. Un'episodio pilota di un romanzo che non c'è mai stato, uno scritto intriso di tenebre che assomiglia un po' a un horror. Lo stesso tema compare nella mia prima lettura in cinese: allora mi chiedo se esiste una connessione fra il numero uno e le evasioni. Consulto or ora il mio libro preferito "The Novel Cure" e ne scopro una pecca perchè  non risulta esserci la minima traccia della parola "fuga" nel suo repertorio di tematiche. Rimando quindi tutte le riflessioni a quando terminerò il mio tomo in cinese. Nel frattempo mi sono ricordato che, oltre a "primo", un altro termine comune a tutte e tre le evasioni che ho menzionato è la parola "madre". Un ulteriore  indizio che potrebbe risultare utile nel sciogliere il bandolo della matassa ...

martedì 17 aprile 2018

Tutto quello che non è storia

Shanben se n'è andato prima che capissi la sua storia. Concentrato com'ero a districarmi nei costrutti che infarcivano il libro di cinese. Il dialogo fosse stato all'inizio dell'unità, allora forse ci sarei arrivato. Nascosto com'era in mezzo ai contenuti, con l'insegnante Mao che diceva, "Se c'è tempo lo facciamo", passo dopo passo, ho dimenticato nomi, situazioni, il susseguirsi degli eventi e lo scorrere del tempo. E così Shanben si è defilato con un saluto impigliato fra i denti, come se l'avergli precluso le luci della ribalta durante la lezione, lo avesse costretto a fare in fretta la valigia e a partire.
Probabilmente c'era chi lo aveva seguito nelle sue vicissitudini ed era rimasto sorpreso dal suo ritorno a casa.  Io a stento riuscivo a ricordarne il nome. Figurarsi se mi ero accorto che si trattava di un giapponese, il signor Yamamoto, che si scrive con gli stessi caratteri del cinese “山本”. L'ho sempre detto che la lingua si studia in funzione di una storia, di una situazione. Io l'ho persa perchè già smarrito nei labirinti della frasi fatte, delle espressioni grammaticali e dell'ordine delle parole. Da studente ho dimenticato quello che sta alla base del mio metodo come insegnante. Per poi trovarmi davanti ad un muro. Con Yamamoto risentito della mia indifferenza. Con in mano un libro ingrigito di cui mi sarei potuto disfare all'istante vendendolo al BOOK OFF.  Con la voglia però di iniziare un nuovo testo. Questa volta ignorando tutto quello che non è storia.

mercoledì 11 aprile 2018

Liebe Frau Leila

Ho scritto una cartolina in tedesco alla signora Leila da Shanghai. Le altre due le ho scritte semplicemente in italiano e in una ho pure tentato una bozza di disegno (lo dico per tranquillizzare i potenziali riceventi che forse temono gli sia rifilata una trafila di ideogrammi incomprensibili vergati in stato di autocompiacimento del sottoscritto). Dopo tutti quei giorni di frastuono sonoro, dopo che avevo appurato di non riuscire a distinguere i toni al di fuori dell'ambiente protetto della classe, all'improvviso mi è venuta voglia di scrivere in tedesco. Una lingua che da qualche parte nel mio cervello esisteva ancora e che si era risvegliata  presumibilmente  per salvaguardare il suo territorio  minacciato dall'avanzata del cinese. Un grido di soccorso che ho accolto e tradotto in parole che non usavo da una decina d'anni. Scrivevo alla signora perchè lei parla tre lingue fluentemente e forse poteva consigliarmi qualche tecnica per destreggiarmi nella giungla delle parole straniere che temevo si aggrovigliassero in una morsa fatale. Già era accaduto a Colonia con l'inglese, rimosso in favore del tedesco. Litigavano fra di loro nella mia testa e il secondo prevaleva sul primo in modo schiacciante, tanto da farmi balbettare frasi incomprensibili quando mi capitava di parlare con un americano o un australiano. In Cina invece a combattere erano due lingue apparentemente inconciliabili fra loro e all'orizzonte neanche a parlarne di vedersi profilare un vincitore. 
Con il rientro in Giappone la lotta si è assopita o le due lingue si sono ritirate in letargo in vista di una prossima apparizione ancora più plateale. E io, che a breve avrei voluto cominciare a studiare l'arabo, rivedo i miei obiettivi e comincio a dividere la settimana in vista di  quale lingua studierò quel determinato giorno. Sette giorni, sette lingue. Per un'ottava occorrerebbe rivoluzionare tempo e spazio.



martedì 10 aprile 2018

Grattaciela nacque a Shanghai

Che Donna Cina ci avesse trascorso 5 anni era una garanzia. Me la descriveva tra un acquisto e l’altro quando veniva a trovarmi a Torino, aneddoti originali che fomentavano la mia curiosità. Shanghai traboccava mistero da tutti i pori ed io ero lì ad aspettare l’occasione giusta per visitarla. Che poi è arrivata nel 2007.

La mia stanza d’albergo nel Bund si affacciava sul fiume che divideva l’irraggiungibile paradiso di Pudong, con i suoi edifici svettanti dalle forme più eccentriche e sgargianti, e il centro polveroso, trafitto in ogni angolo dai pilastri dei lavori in corso per l’imminente Expo.

Ricordo che una notte, prima di addormentarmi, mi sono avvolto in una coperta e sono uscito sul terrazzino del mio modesto stanzino e proprio lì ho cominciato a sognare ad occhi aperti. Com’erano alti i palazzi al di là del fiume, era la prima volta che ne vedevo di così impressionanti. Tokyo non esisteva ancora nel mio immaginario quotidiano. E così è nata Grattaciela, la bambina che cresceva senza sosta alla ricerca di un posto nel mondo in grado di accoglierla. Quei bagliori sull’altra sponda del fiume si sono trasformati nella promessa rassicurante che esiste per tutti un luogo dove vivere sereni. Il tutto confezionato in un libro per bambini a suggellare quella notte di fantasie.

Pochi giorni fa sono tornato a Shanghai, quasi per caso. Sono approdato direttamente nel paradiso di Pudong in un edificio vetrato di 60 piani. Recentemente sto cercando di sconfiggere le mie paure una ad una: questa volta ho sfidato il terrore del vuoto. Mi sono arrampicato sul parapetto e, protetto solo da uno strato di vetro, ho cercato con lo sguardo l’abbaino che tanti anni fa era stato complice della nascita di un’idea felice. Dell’edificio però non c'era più traccia. O era talmente piccolo da sfuggire alla mia visuale.

Allora mi sono chiesto dove sta la felicità: nell'infinitamente piccolo che gli sguardi non riescono a mettere a fuoco o nella maestosità grandiosa sotto gli occhi di tutti?

Non ho considerato lo spazio nelle mie riflessioni: forse è lì, dove questioni come le dimensioni perdono significato, che sta la risposta.

Shanghai ho bisogno di vederti almeno un'altra volta, forse dalla Luna.

lunedì 9 aprile 2018

E la maestra non c'è!

È tutto pronto. Fotocopie di cinese distribuite dalla maestra Wang e una cartellina con il materiale in italiano. Sto per varcare il portone di casa quando il cellulare fa bip. È la mia compagna di corso : "La maestra Wang non può venire, lezioni cancellate". 
E sì, la domenica è il giorno dello studio di gruppo. La mia amica Celia, la maestra Wang ed io. Ci incontriamo alla Torre Carota, un mastodontico edificio che oltre ad ospitare un teatro sospeso, una torre panoramica e un supermercato, offre uno spazio ricreativo che noi e la maestra usiamo per studiare. Anche la nostra insegnante di cinese studia: Celia ed io siamo entrambi insegnanti di italiano e insegniamo la nostra lingua alla maestra Wang, che a sua volta, ci spiega i rudimenti del mandarino. Celia ha interrotto lo studio del cinese per un periodo e desidera cominciare dalle basi, il famigerato pinyin, la traslitterazione alfabetica della pronuncia dei caratteri ideografici cinesi. Niente di meglio per me, che nonostante sia avanti con i vocaboli e la grammatica, soffro ancora per le incomprensioni che si sono verificate fra me e gli abitanti di Hangzhou. Anche la maestra Wang mi fissava di sbieco quando leggevo i testi in cinese nella lezione introduttiva. Via di ripasso che è sempre utile, soprattutto per ripensare in modo critico alla comprensione di qualsivoglia insegnamento. 
La maestra Wang viene da Guilin, la città verde con i suoi colli sinuosi e i suoi panorami ancestrali: ricordo ancora l'anno scorso quando su una barchetta guadavamo un  fiume nella vicina Yangshuo, assorbiti dal tramonto, quasi aspettando che si verificasse un fenomeno paranormale a completamento dell'esperienza.


La maestra non è venuta. Complice la domenica, oggi rinuncio allo studio e vado a godermi l'ultimo ciliegio fiorito. Al prossimo incontro maestra Wang!

domenica 8 aprile 2018

Hangzhou, la città crudele

Privato della musica, in parte dell’odorato e della voce riesco ancora a godere di questo luogo.
Hangzhou può essere crudele: prima ti strappa il cuore con la bellezza dei suoi tramonti, poi ti ruba il senso dell’orientamento e finisci per perderti in uno dei vasti giardini o degli svariati percorsi di montagna che costituiscono le maggiori attrattive della città. Non finisce però qui e la menomazione dei sensi continua. Non senti più la fame di mezzogiorno perché hai smania di immortalare un luogo, un fiore, una situazione che l’indomani non esisteranno più in questa città cangiante come il rivestimento floreale che la abbellisce.
Anche il dolore è attutito e nonostante ti senta febbricitante continui a camminare, perché questo è il paradiso e non può esserci luogo migliore per alleviare le tue pene. Non temi la morte perché in questa città sembra di essere già passati oltre. Questa consapevolezza ti da il coraggio per affrontare situazioni che altrimenti nella vita di tutti i giorni ti apparirebbero insormontabili. 
Mi trovavo su un pezzo di terra che si affacciava da un lato ad uno strapiombo e dal’altro a un muro di filo spinato, eppure non ho esitato un momento ad andare avanti. I giorni si trasformano in imprese e tutto quello che volevi fare, studiare o scrivere diventano attività accessorie quasi un ostacolo.
 C’e un momento però in cui devi pagare un prezzo. Quando ti chiudi alle spalle la porta della camera d’albergo di bassa categoria dove alloggi e tiri le tende della finestra. Allora tutto si presenta più marcato e tetro ai tuoi occhi illuminati dalla lampadina al neon della stanza. I segni di una vecchiaia lenta ma inevitabile, il dolore che si era dissolto improvvisamente ritorna più forte che mai ed è una lotta di sudore, sangue e umori corporei che accompagna le ore notturne. 
Un sonno dove le persone del presente e del passato si mescolano in una confusione da delirio febbrile  e sperimenti il trapasso che si esprime nel soffrire senza soccombere. Si alternano alle fasi di questa passione- un incubo ad occhi aperti- le grida di una donna provenire dal cortile proprio lì sotto dove si affaccia la tua camera al sesto piano. Anche la donna soffre, muore e ritorna più volte a sottolineare che le tenebre esistono anche nel paradiso in terra. Hanzhou con i suoi fiori profumanti e la malinconia dei suoi paesaggi scompare la notte, avvizzisce e  si trasforma in un mostro che devasta e non da tregua fino allo spuntare delle prime luci del giorno. É questo il pegno da pagare per avere il privilegio di godere di tale nefasta bellezza.

sabato 7 aprile 2018

HSK terzo livello

Sto valutando il giorno dell'esame di cinese, l'HSK. Direi che non riuscirò a terminare il programma del terzo livello se non intorno a giugno. La data corrispondente risulta il 19, una domenica. Chi programma questi test forse non sa che la gente lavora anche il fine settimana, quindi prevedo di dovermi prendere un giorno di ferie... Staremo a vedere...
Lo scorso novembre ho provato il secondo livello (a differenza del JLPT, il primo livello è quello più elementare) e l'ho passato senza grossi problemi. Il vantaggio sta nel fatto che molti caratteri cinesi sono gli stessi del giapponese, pertanto a un livello elementare-medio, gli ideogrammi comuni alle due lingue risultano la maggioranza. Con l'ulteriore facilitazione che in cinese la maggioranza di essi ha una sola pronuncia. Pensiamo al carattere "日" (giorno): in cinese la pronuncia è "ri4"(il numero corrisponde al tono di cui tornerò a parlare in seguito), mentre in giapponese per lo stesso carattere esistono le pronunce "hi", "nichi", "ka"ecc.. C'è sicuramente la difficoltà legata al fatto che i caratteri del mandarino, pur essendo comuni al giapponese, hanno i tratti semplificati. Il carattere "馬"(cavallo) in giapponese è semplificato nella versione cinese in "马".  La bestiola smembrata nei tratti è riconoscibile per chi ha dimestichezza con i caratteri, ma per un principiante i due caratteri possono apparire completamente diversi... Mah questione di esercizio e di amore per gli ideogrammi...
Allora la giornata è decisa: il 19 giugno ci provo e vediamo come va!
Grazie al corso intensivo ad Hangzhou lo studio procede abbastanza spedito: oggi ho calcolato circa 22 parole e 5 costrutti nuovi. A proposito di Hangzhou, nel prossimo post alcune riflessioni che ho avuto sulla città...
                                         

venerdì 6 aprile 2018

Di ritorno dal Paese di Mezzo

Sono tornato frastornato da Hangzhou. Di Hangzhou parlerò più avanti. La mia confusione è nata dal fatto che mi aspettavo che in questa città il mio mandarino in qualche modo risultasse comprensibile. Invece no. La gente parlava in modo diverso e le incomprensioni fra me e i cinesi del posto erano all'ordine del giorno. L'unico luogo in cui riuscivo ad avere un riscontro dell'anno e mezzo passato a studiare cinese era tra le quattro mura della scuola di lingua: lì riuscivo a intrattenere un barlume di conversazione con l'insegnante, la signorina Miao che, dotata di grande pazienza, sfoggiava un mandarino impeccabile. Tutto questo è un preambolo per spiegare lo scopo per cui sto scrivendo : creare un blog che tenga traccia dello studio del cinese e dei rapporti che intesse con il giapponese per via dell'interferenza dei caratteri ideografici in quest'ultima lingua. Nel periodo che intercorre dall'inizio del mio studio del mandarino ad oggi, chiamiamolo vortice, non avevo gli strumenti per una riflessione linguistica/culturale sul cinese. Con il mio ritorno dalla Cina, però, sento che qualcosa è cambiato e che occorre fermare i pensieri in frasi scritte perchè possano tornare utili a me o a qualcun altro in futuro. Il blog è di per sua natura frammentario, ma non è mio proposito scrivere una grammatica di cinese, quanto piuttosto fornire degli argomenti di discussione e di riflessione da condividere con altri studenti o studiosi interessati alla materia.
Poi ci sono loro, gli ideogrammi: questo sistema di simboli che è entrato nel mio quotidiano e sta trasformando di giorno in giorno il mio modo di vedere e percepire la realtà. La mia sfida è scrivere ogni giorno, combattere il sonno e la routine, appropriarmi delle mie esperienze e consolidarle in forma scritta.
Comincio con un breve modo di dire che la professoressa Mao della scuola Hao di Shibuya mi ha insegnato oggi.
"好好学习天天向上" (Haohao xuexi tiantian xiangshang) che suona in italiano come "Impegnati nello studio e di giorno in giorno progredirai".