mercoledì 11 aprile 2018

Liebe Frau Leila

Ho scritto una cartolina in tedesco alla signora Leila da Shanghai. Le altre due le ho scritte semplicemente in italiano e in una ho pure tentato una bozza di disegno (lo dico per tranquillizzare i potenziali riceventi che forse temono gli sia rifilata una trafila di ideogrammi incomprensibili vergati in stato di autocompiacimento del sottoscritto). Dopo tutti quei giorni di frastuono sonoro, dopo che avevo appurato di non riuscire a distinguere i toni al di fuori dell'ambiente protetto della classe, all'improvviso mi è venuta voglia di scrivere in tedesco. Una lingua che da qualche parte nel mio cervello esisteva ancora e che si era risvegliata  presumibilmente  per salvaguardare il suo territorio  minacciato dall'avanzata del cinese. Un grido di soccorso che ho accolto e tradotto in parole che non usavo da una decina d'anni. Scrivevo alla signora perchè lei parla tre lingue fluentemente e forse poteva consigliarmi qualche tecnica per destreggiarmi nella giungla delle parole straniere che temevo si aggrovigliassero in una morsa fatale. Già era accaduto a Colonia con l'inglese, rimosso in favore del tedesco. Litigavano fra di loro nella mia testa e il secondo prevaleva sul primo in modo schiacciante, tanto da farmi balbettare frasi incomprensibili quando mi capitava di parlare con un americano o un australiano. In Cina invece a combattere erano due lingue apparentemente inconciliabili fra loro e all'orizzonte neanche a parlarne di vedersi profilare un vincitore. 
Con il rientro in Giappone la lotta si è assopita o le due lingue si sono ritirate in letargo in vista di una prossima apparizione ancora più plateale. E io, che a breve avrei voluto cominciare a studiare l'arabo, rivedo i miei obiettivi e comincio a dividere la settimana in vista di  quale lingua studierò quel determinato giorno. Sette giorni, sette lingue. Per un'ottava occorrerebbe rivoluzionare tempo e spazio.



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